alexandria ocasio-cortez Drew Angerer/Getty Images

A favore del realismo ecologico

PARIGI – Il Green New Deal promosso da Alexandria Ocasio-Cortez, personaggio in rapida ascesa nel Congresso americano, e alcuni suoi colleghi democratici, potrebbe portare a una gradita reimpostazione del dibattito sulla mitigazione del cambiamento climatico negli Stati Uniti e altrove. Sebbene non proprio nuovo – i Verdi europei premono da circa un decennio per un “nuovo patto” di questo tipo – il suo progetto è ambizioso e di ampia portata.  

Forse potrebbe esserlo anche troppo, ma, a differenza dell’approccio al cambiamento climatico preferito dagli economisti – stabilire il giusto prezzo per il carbone e rimettere il resto a decisioni private – il Green New Deal abbraccia le molteplici dimensioni di quella che, se vogliamo affrontare in modo efficace la sfida climatica, va intesa come una radicale trasformazione delle nostre economie e società.  

La transizione a un’economia neutra in termini di emissioni di carbonio è destinata ad avere la stessa portata rivoluzionaria di quella che fu la transizione all’era industriale. Dato il carattere globale di questa transizione, non la si può riassumere in un costo unico. Deve trattarsi di uno sforzo collettivo in cui i governi investono e ciascun cittadino svolge un ruolo. L’etica ottimista e partecipativa del Green New Deal, da questo punto di vista, è encomiabile. 

Ma parliamoci chiaro: la transizione verde non sarà regalata. Non c’è dubbio che la vita e il lavoro saranno di gran lunga migliori se riusciremo a contenere il cambiamento climatico, anziché il contrario, e questo giustifica i relativi sforzi. Tuttavia, non è questa la domanda che molti cittadini fanno. L’aspettativa standard – poco realistica, ma comprensibile – è quella di uno scenario immutato in cui essi continueranno a consumare e a viaggiare come sono abituati oggi. Potrebbero acconsentire a mangiare un po’ meno carne e a utilizzare automobili più efficienti, a patto però che il loro potere d’acquisto non cambi. E potrebbero voler cambiare lavoro, se quello nuovo è pagato meglio ed è meno stressante. Ma ben poco lascia supporre che la maggioranza dei cittadini sia pronta a fare altro.    

Comprensibilmente, i sostenitori del Green New Deal tendono ad assecondare questi sentimenti. La proposta di Ocasio-Cortez è sufficientemente vaga da evitare critiche precise, ma è chiaro che non va a mettere il dito in nessuna piaga. Lo stesso vale per molti programmi che promettono una vita più bella e con maggiori e migliori opportunità di lavoro.

Purtroppo, la realtà è alquanto diversa. La transizione a un’economia a zero impatto è destinata a renderci più poveri prima ancora di farci stare meglio, e i segmenti più vulnerabili della società saranno quelli più duramente colpiti. Se non riconosceremo e affronteremo questa realtà, il sostegno a un’economia più eco-compatibile resterà debole e correrà il rischio di affievolirsi.  

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La ragione ci riporta allo strumento preferito dagli economisti, cioè i prezzi. In un modo o nell’altro, dobbiamo cominciare a pagare per qualcosa – nella fattispecie il carbone – che abbiamo utilizzato gratuitamente. E dare un prezzo al carbone è un’operazione destinata a ridurre il consumo complessivo. 

Il motivo non è la tassa in sé, i cui proventi possono essere ridistribuiti ai contribuenti, ad esempio su base pro capite, come ha proposto un notevole gruppo di economisti statunitensi. Piuttosto, dare un prezzo al carbone provocherà inevitabilmente quello che, nel linguaggio degli economisti, è chiamato shock negativo dal lato dell’offerta. Alcune apparecchiature diventeranno inutilizzabili e alcune tecnologie non saranno più redditizie. La produzione massima (o, in termini economici, il Pil potenziale) subirà un calo. Se l’impennata dei prezzi avverrà in maniera repentina, sarà seguita da un tracollo, come accadde nel 1974 quanto i produttori di petrolio fecero schizzare i prezzi all’improvviso. Ne consegue che la ricchezza diminuisce in concomitanza con la progressiva svalutazione di abitazioni inefficienti sotto il profilo energetico, automobili “voraci” e azioni petrolifere. 

Il problema non deriva dall’impiego di uno strumento legato ai prezzi. Sarebbe lo stesso in un’economia pianificata: per raggiungere l’efficienza sul piano delle emissioni di carbonio occorrerebbe anche qui dismettere le apparecchiature vecchie e poco efficienti, e investire di più per rendere il Pil più eco-compatibile. Dal momento che, secondo stime recenti, gli investimenti aggiuntivi necessari si aggireranno intorno al 2% del Pil annuo nel 2040, una quota di produzione proporzionalmente inferiore sarà disponibile per i consumi delle famiglie. 

Fra l’altro, gli effetti distributivi della transizione ecologica sono, purtroppo, negativi. I poveri e la classe media suburbana spendono in energia una parte maggiore del proprio reddito rispetto ai ricchi e ai professionisti nelle città, e spesso non hanno i mezzi per acquistare un nuovo sistema di riscaldamento più efficiente o per isolare la propria abitazione. E poiché i mestieri della classe lavoratrice sono, in genere, a più elevato tenore di carbonio, gli operai di una fabbrica e i conducenti di camion saranno più danneggiati rispetto ai designer e ai banchieri.

Il problema che le nostre società devono affrontare è enorme, e non andrebbe occultato. Il governo francese ha dovuto fare marcia indietro dopo la rivolta dei Gilet Gialli contro una tassa sul carburante pari a 55 euro (63 dollari) la tonnellata, ma una stima recente di quanto occorre per decarbonizzare fissa tale imposta a 250 euro la tonnellata nel 2030. I paesi europei, già in difficoltà per l’aumento della spesa per la difesa al 2% del Pil, come richiesto dal presidente americano Donald Trump, affrontano adesso la prospettiva di dover pagare un altro 2% per la transizione a un’economia a zero emissioni di carbonio. Per decenni, le persone hanno ricevuto incentivi per trasferirsi dai centri urbani alle periferie, e ora gli si dice che il loro stile di vita non ha futuro. 

Fortunatamente, questi effetti possono essere attenuati. La piena ridistribuzione dei proventi della tassa sul carbonio può alleviare l’onere che grava sui più vulnerabili. In un contesto di tassi di interesse estremamente bassi, il finanziamento del debito è un modo razionale per accelerare la trasformazione economica ripartendone i relativi costi tra le generazioni. Come suggerisce la sorprendente diminuzione dei prezzi dei pannelli solari, promuovere l’innovazione e la concorrenza contribuirà alla rapida affermazione di tecnologie pulite ed efficienti. E prima si passerà all’azione, più prevedibile saranno le prospettive di lungo termine, più facile sarà l’adattamento, e meno negativo sarà l’impatto sulla produzione e sulla ricchezza. I cambiamenti bruschi svalutano i beni esistenti, mentre una transizione graduale consente i giusti investimenti al momento opportuno.

Ciò detto, il realismo ci obbliga a riconoscere che nulla potrà eliminare del tutto le difficoltà legate alla transizione. Per vincere, gli entusiasti del Green New Deal dovranno essere onesti con i cittadini in merito alle implicazioni della trasformazione imminente, a come i relativi costi saranno ridotti al minimo ed equamente ripartiti, e al ruolo che ogni persona potrà avere in essa. Anziché tingere di rosa la loro visione, dovrebbero dimostrare che è possibile realizzarla.  

Traduzione di Federica Frasca

https://prosyn.org/vRj45dVit